Siamo circa 8 miliardi di persone sulla Terra e abbiamo circa 8 milioni di comportamenti diversi. Questo perché ognuno di questi 8 miliardi di persone ha avuto un percorso di vita diverso e risposte diverse ai propri “perché”.
Si, nasce tutto da lì: da quando siamo piccoli chiediamo ai grandi il perché delle cose, spesso mettendoli in imbarazzo non conoscendo le risposte, avendo dato sempre per scontato il perché delle cose.
“Perché il sole è giallo? Perché il cielo è azzurro? Perché i fiori sono colorati? Perché assomiglio tanto all’idraulico?” (a volte si sente anche questo 😂).
Poi crescendo non abbiamo più tempo per farci domande, oppure quando ce le facciamo cerchiamo semplicemente la risposta più facile e scontata.
Il nostro cervello elabora una marea di informazioni in pochissimo tempo. Questa velocità a volte porta a distorsioni della realtà, creando i bias cognitivi.
Teorizzazione dei bias cognitivi: un tuffo nel passato
Il primo a parlarne è stato uno studioso, visionario, psicologo, economista, informatico, Herbert Simon negli anni 70. Ah, nel ’78 ha vinto anche il Premio Nobel per l’Economia.
É stato lui ad affermare che le azioni che un uomo compie sono il risultato delle azioni che ha in possesso, del tempo a disposizione ma anche dei suoi limiti cognitivi. L’errore umano invece è legato ai comportamenti cognitivi distorti.
Sempre negli anni ’70, i due psicologi Kahneman (Nobel per l’economia 2002) e Tversky gettano le basi da cui nasce l’economia comportamentale. E se ti occupi di marketing sicuramente ne avrai sentito parlare.
Euristiche vs Bias Cognitivi: cosa sono, definizione, differenza
Attenzione però a non confondere euristiche e bias.
Le prime sono vere e proprie scorciatoie mentali che ci portano alla migliore soluzione nel minor tempo e con il minimo sforzo. Sono residui ancestrali, come il fatto di scappare davanti ad un pericolo.
I bias sono un particolare tipo di euristica, infatti sono sempre scorciatoie mentali ma che portano all’errore. Ne sono stati codificati a centinaia.
Pensa soltanto al numero di decisioni che prendi ogni giorno: sono circa circa 35.000! 😅
La mente pigra e selettiva usa i bias per prendere la maggior parte delle decisioni al posto tuo, quelle involontarie.
Vediamo ora quali sono i bias cognitivi più conosciuti, accompagnandoli con una serie di esempi.
Bias cognitivi legati alla carenza di informazioni
I bias cognitivi legati alla carenza di informazioni si formano quando arriviamo a delle conclusioni con un atteggiamento approssimativo. Si dividono in 6 sottogruppi.
1. Quando non abbiamo abbastanza dati
Uno dei più classici è la fallacia dello scommettitore, cioè pensare che un evento sia più probabile se non si verifica da molto tempo. I numeri ritardatari del lotto.
Ma anche vedere forme e figure in situazioni che non ne hanno, tipo la nuvola a forma di un animale, o un volto sullo scogliera. Quella è la pareidolia.
2. Tutto quello che rientra tra gli stereotipi
Quando giudichiamo in base alle apparenze siamo portati ad etichettare le persone solo per informazioni superficiali, il classico stereotipo, cioè tutte quelle convinzioni che abbiamo precostituite, ma non sulla base di esperienze dirette.
Un altro esempio calzante è l’Effetto Placebo, cioè la mente che si convince di qualcosa, come un beneficio.
L’effetto carrozzone avviene quando seguiamo la massa, cioè siamo portati a fare cose e frequentare posti che fanno tutti. Hai mai letto frasi come “prodotti più venduti” in qualche e-commerce? Ecco, questo ne è un esempio.
3. Quello che conosciamo è migliore del resto
Il primo e classico esempio è quello dell’halo effect, cioè quando dei testimonial e influencer sponsorizzano un prodotto, perché il loro pubblico si fida, spostando l’autorevolezza dal testimonial al prodotto.
Hai mai fatto caso che il viaggio di andata è sempre più lungo di quello di ritorno? È il well-traveled road effect. Perché al ritorno la strada è già vista.
4. So a cosa stai pensando
Il superpotere più desiderato: saper leggere nella mente altrui. Purtroppo tante volte è solo una convinzione della nostra mente.
La maledizione della conoscenza, o curse of knowledge, è l’errore a cui devono stare attenti consulenti e formatori, per “abbassarsi” al grado di preparazione di chi hanno davanti, semplificando.
Lo spotlight effect è la paura che gli altri notino i nostri difetti, anche se sono molto, ma molto, piccoli. Tipico di chi parla in pubblico.
5. Semplifichiamo tutto
La mente non vuole fare fatica. Ormai lo abbiamo capito tutti.
L’effetto valuta si sviluppa quando all’estero il cambio valuta per noi è conveniente e tendiamo a spendere di più, perché pensiamo che stiamo acquistando scontato.
Il normalcy bias spinge a sottovalutare gli effetti di un problema e prevedere che tutto andrà bene.
6. Back to the future
Quando prendiamo decisioni in base a eventi simili avvenuti in passato e che quindi possiamo prevedere.
Il bias della proiezione ci porta a pensare che la situazione attuale non cambierà in futuro perché tanto “non troverò mai la ragazza giusta per me”.
Il rosy retrospection e l’outcome bias sono simili: infatti per il primo “un tempo si stava meglio”, mentre per il secondo le cose si fanno in quel modo perché “si sono sempre fatte così”.
Bias cognitivi legati al surplus di informazioni
1. È come dico io, stai sbagliando
Criticare e giudicare gli altri è sempre più facile che farlo su noi stessi. I bias sono automatismi e lavorano sull’inconscio, per questo tutti ne subiamo alcuni. Chi più chi meno.
Tu pensi di essere immune ai bias? In questo caso stai subendo il blind spot, tipico di chi nega di subire i bias.
Altri due simili tra loro sono il naive realism e il naive cynicism: il primo ci porta a pensare che la nostra idea sia quella vera e giusta, mentre il secondo ci fa giudicare come egocentrico chi dà la propria opinione.
2. La normalità è noiosa
Le cose normali non attirano l’attenzione, quelle stravaganti si.
L’humor effect è quel bias che ci fa ricordare e raccontare gli episodi buffi, quello che ci fa ridere. Perché impieghiamo uno sforzo mentale per capirlo.
Hai mai notato che gli avvenimenti negativi influenzano l’umore più di quelli positivi? In questo caso è colpa del negativity bias.
3. Non cambio idea e vado avanti
Quando abbiamo tante informazioni è facile “autoconvincersi” di avere ragione, senza guardare la visione completa. Il confirmation bias tende a farci raccogliere altre informazioni solo se sono a favore della nostra tesi. Tralasciando le altre. Bias più diffuso di quello che si pensi.
Il choice supportive bias ci porta a vedere solo i lati positivi dopo aver effettuato una scelta o compiuto un’azione, per confermarla.
Il continued influence effect è molto attuale e favorisce il diffondersi delle fake news, perché con questo bias, vengono conservate nella nostra mente e si ripropongono se non facciamo ricerca per valutarle e contrastarle.
4. Le convinzioni sono ancorate in testa
I bias sono automazioni, perché si basano sui pregiudizi e sulle abitudini. Il bias dell’ancoraggio non ci aiuta a riconoscere il valore di qualcosa se non abbiamo termini di paragone. Domani inventano il cincischione e lo mettono in vendita a 50€. È troppo o poco?
Il conservatism è quel bias che ci ancora alle nostre idee senza aprirci a quelle altrui.
Con il distinction bias notiamo di più i difetti delle cose se le mettiamo a confronto, piuttosto che vederle una per volta.
5. La memoria fa brutti scherzi
Devi cambiare il frigorifero? Automaticamente in giro vedrai solo pubblicità di frigoriferi.
E non parlo di quelle online, quelle sono “pilotate” da algoritmi. Parlo dei manifesti, dei volantini, delle pubblicità in tv.
C’erano anche prima che tu avessi bisogno del frigorifero, ma il bias dell’attenzione fa in modo che la mente ti farà notare maggiormente le cose alle quali stai pensando in quel periodo.
Il mere exposure effect è rappresentato dalla repulsione verso l’ignoto, perché ci fidiamo di più delle cose che conosciamo bene.
Hai mai sentito parlare della comfort zone? Ebbene anche quella si rivede nei bias.
Infatti tendiamo a rimanere nella zona di comfort perché l’availability bias ci fa sovrastimare quello che abbiamo vissuto, senza destabilizzarci. Cosa che accade quando ci sono nuove abitudini o luoghi con cui dobbiamo familiarizzare.
Bias cognitivi legati ai ricordi
Questa volta vedremo quelli legati ai ricordi, perché la mente è il nostro personale database, in cui immagazziniamo tutto, ma proprio tutto quello che vediamo, ascoltiamo, proviamo, leggiamo e tutto quello che finisce in -amo.
La mente dovrebbe essere selettiva e selezionare i ricordi da conservare e quelli inutili, ma non sempre è così. I bias legati ai ricordi si dividono in 4 sottogruppi.
1. Non sempre quello che ricordi è vero
Mi spiego meglio, noi pensiamo di ricordare le cose in un certo modo, ma magari non sono proprio come le ricordiamo.
Come, ad esempio, quando ricordi un aneddoto insieme ad un amico ma alcuni dettagli non corrispondono, chi ha ragione? In questo caso l’effetto suggestionabilità modifica il ricordo se siamo influenzati da qualcuno.
Quante volte esordiamo con “Non ricordo chi lo ha detto, ma…”. Forse nemmeno lo sappiamo chi lo ha detto. Perché il bias della source confusion non ci fa ricordare le fonti.
Tutti noi appassionati di studio e approfondimenti, ricordiamoci che per lo spacing effect, tendiamo a assimilare meglio le informazioni se le dilazioniamo nel tempo, piuttosto che fare vere e proprie full immersion.
2. La mente generalizza
Deve fare meno lavoro possibile, deve essere veloce, ma non superficiale. Quindi cerca di ottimizzare generalizzando.
Lo abbiamo già visto con il bias della negatività, quando pensiamo che un evento negativo sia più impattante rispetto ad uno positivo.
Lo stereotypical bias invece è molto attuale, quando si parla di lavori prettamente maschili o femminili oppure quando si generalizza su un particolare di una popolazione.
3. Come affronti le liste?
Hai mai fatto caso che tendiamo a ricordare meglio le prime e le ultime cose di una lista mentre facciamo difficoltà con quelle intermedie? È colpa del serial position effect.
Per i bias peak-end rule e duration neglet, i ricordi sono immagazzinati a causa dei picchi emotivi che generano, ma non in base alla durata quanto all’intensità del picco.
4. Sei sicuro di ricordare tutto?
Come si chiama quel bias che blocca il ricordo di una parola? Ci vengono in mente termini simili ma non proprio quello che vorremmo dire. Ce l’ho sulla punta della lingua. Appunto.
E nell’era della digitalizzazione vuoi non metterci un Google effect? Perché memorizzare le informazioni trovate online se posso sempre cercarle di nuovo con Google. È chiamata anche amnesia digitale.
Chiudiamo questo elenco di bias con uno che ammetto di subire spesso: l’absent-mindedness. Cioè il compiere azioni automatiche quando siamo distratti, tipo mettere le chiavi di casa dove non dovrebbero, nel frigorifero. Eh succede.
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